Sharon Stone. Felice di essere ancora una vamp
- Autore: Barbara Balzini
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Sharon Stone attrice di culto oltre le gambe c’è di più
Sharon chi? Vonne, la figlia di Joe Stone, da Meadville, un posto qualsiasi della Pennsylvania, nella Contea nordorientale di Crawford. Una deprimente cittadina di provincia, 13mila abitanti, un luogo molto poco invitante. Roba da nessuno e per nessuno. Ma il papà non era un tipo ordinario, pur facendo un lavoro modesto – chi dice operaio, chi commesso in una ferramenta – e seppure squattrinato aveva una mente aperta, femminista, dicono e nutriva progetti tutt’altro che banali sulla figliola nata nel 1958. Avrebbe fatto di tutto perchè crescesse senza condizionamenti, mettendo a frutto la sua intelligenza, sprecata in quell’angolo di nulla.
Certo che quando vieni su pensando di valere più degli altri e non ti accontenti del futuro in quel postaccio, capita di restare un po’ isolati, di avere qualche difficoltà di relazione. La ricordano solitaria, scontrosetta e vestita sempre di nero quella ragazzina. Poi, a quindici anni, l’anatroccolo bruttino e dark si è trasformato in un’adolescente incantevole. Più bella delle altre a Meadville. In quella terra di nessuno stava sbocciando una dea, un’attrice hollywoodiana, amata in tutto il mondo. Perchè la figlia di Joe è “Sharon Stone. Felice di essere ancora una vamp”, come si legge nel titolo della biografia che Barbara Balzini le ha dedicato per l’editore Imprimatur di Reggio Emilia (224 pagine 16 euro).
La vita in college favorisce la sua autostima e intanto crescono anche le curve, tutte giuste. Con quel volto regolare e luminoso, i capelli biondi, gli occhi azzurri è una vera fatina. Miss Contea, quasi Miss Pennsylvania, un contratto da modella. È la mamma a spingerla a prendere il volo.
Ma sì, lascia questa città, lascia gli studi, vai a New York.
È il 1977.
Vive a Manhattan debutta nel cinema con Woody Allen (“Stardust memories”). Niente di che, un ruolo senza battute, ma è stata notata, il corpo e la fisicità entrano nel suo destino.
Già, il corpo. Mentre la carriera va avanti tra piccolo e grande schermo (un horror con la regia di Wes Craven, un episodio di “Magnum P.I.”, una serie tv), il primo ruolo da protagonista femminile (“Allan Quatermain e le miniere di Re Salomone”) la fa notare dalla critica solo per uno sferzante: belle gambe.
Dopo la fisicità da arti marziali di “Atto di forza”, con Schwarznegger e sette pagine su Playboy (è la ragazza copertina di luglio 1990) sono arrivati nel 1992 “Basic instinct” e la scena dell’accavallamento dell’ambigua Catherine Tramell durante l’interrogatorio: almeno si vede che sono una bionda naturale, dirà lei. Una serie di fotogrammi che sono diventati una leggenda.
Per quel ruolo senza mutande, molto esposto, serviva un’attrice che non si preoccupasse del politically correct, che non avesse niente da perdere e lei andava benissimo, col suo status di bella ed eterna esordiente. Di certo, quell’accavallare le gambe consapevole del magnetismo erotico esercitato sugli astanti – anche se ha contestato l’inquadratura, dicendo che il regista gliel’ha rubata e riuscendo poi a rimangiarsi la contestazione - è uno dei momenti più sexy del cinema, tanto da regalarle una fama senza tempo, legata proprio al provocante smutandamento.
Ma oltre le gambe c’è di più. Oltre all’accavallo e ad una bellezza unica, tra l’angelico e il torbido, c’è una donna capace. Da quel momento, la ragazzina che vestiva solo di nero ha costruito un’identità di rara forza. Icona bionda di fine secolo, attrice osannata – scrive Barbara Balzini – personalità dirompente, tenace, volitiva, una delle professioniste più carismatiche e perfino temute di Hollywood. Ed ha rischiato di perdere tutto a settembre del 2001. Da qualche giorno passava da una poltrona all’altra della casa di San Francisco. Un mal di testa sordo alla base del cranio la rendeva stanca e stordita. Era un’emorragia cerebrale dell’arteria vertebrale, che una volta manifestatasi violentemente le costerà sette ore sotto i ferri, ventidue stent di platino, un anno di riabilitazione per riprendersi la sua vita.
C’è voluto grande impegno per tornare la forte e affascinante Sharon Stone, ma c’è riuscita. Davvero, oltre le gambe e una scena da leggenda, in quella donna c’è di più.
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