Wilfred Owen morì il 4 novembre 1918, a pochi giorni dall’armistizio che avrebbe posto fine alla Prima guerra mondiale. Sarebbe stato uno dei tanti giovani perduti dell’esercito britannico, morì in Francia mentre con il suo reggimento attraversava il fiume Sambre-Oise. Il telegramma che comunicava la notizia arrivò alla sua famiglia proprio l’11 novembre, il giorno dell’armistizio. Una poesia scritta da Owen sarebbe stata pubblicata postuma, il titolo era in latino Dulce et decorum est, riprendeva la formula che accompagnava le spoglie funebri dei soldati morti in guerra: è dolce e onorevole (morire per la patria).
In questi versi duri, cruenti, a tratti strazianti, Owen ripercorre la vita durissima dei soldati sul campo di battaglia e, narrando la terribile agonia di uno di loro, sembra prefigurare la propria stessa morte. Il motto Dulce et decorum est è falsamente consolatorio, in realtà nasconde una bugia: nella conclusione del suo scritto Wilfred Owen rovescia il significato di questo antico detto in seguito mutuato come onoranza funebre, mostrando il lato oscuro, orrorifico della guerra.
Dulce et decorum est è una citazione del poeta latino Orazio, volta a tramandare un’immagine gloriosa della guerra; ma Wilfred Owen riesce a trasformarla in un atto d’accusa, mostrando la tragica ingiustizia insita nella guerra, in ogni guerra, che ha il volto della maledetta gioventù condannata a una morte precoce e senza consolazione.
In un momento in cui nel mondo soffiano ancora venti di guerra - e le giovani vittime risultano incalcolabili - il messaggio contro la guerra di Wilfred Owen è importante da ribadire.
Vediamone testo, traduzione e analisi.
“Dulce et decorum est” di Wilfred Owen: testo
Con le ginocchia che si toccano, tossendo come mendicanti, noi lanciavamo maledizioni nel fango,
Fino ai bagliori improvvisi [dove] ci voltavamo
e prendevamo a trascinarci verso il nostro accampamento.
Gli uomini marciavano addormentati. Molti avevano perso gli stivali
Ma tiravano avanti, con il sangue come scarpe. Tutti procedevano zoppi; tutti ciechi;
Ubriachi di fatica; sordi perfino al sibilo
delle stanche lontane Five-Nines che cadevano dietro.Gas! GAS! Veloci, ragazzi!—Un brancolare frenetico
Mentre indossiamo i goffi elmetti appena in tempo;
Ma qualcuno stava ancora urlando e inciampando,
E dibattendo come un uomo nel fuoco o nella calce viva...
Pallidi, attraverso i vetri appannati delle maschere anti-gas e la luce verde spessa,
Come sotto un mare verde, l’ho visto annegare.In tutti i miei sogni, davanti al mio sguardo impotente,
Si tuffa verso di me, barcollando, soffocando, annegando.Se, in alcuni sogni affannosi, tu potessi camminare
Dietro al vagone in cui noi lo gettammo
E osservare gli occhi contorcerglisi nel suo viso,
Il suo viso rimanere pendente, come un diavolo stanco di peccare;
Se tu potessi sentire, per ogni colpo, il sangue
uscire sgorgando dai polmoni rovinati dalla schiuma
Ripugnante come un cancro, amaro come il bolo
delle vili, incurabili piaghe su lingue d’innocenti,—
Amico mio, tu non racconteresti con un simile entusiasmo
ai bambini ardenti per un po’ di gloria disperata,
l’antica Menzogna: “Dulce et decorum est”
Pro patria mori.
“Dulce et decorum est” di Wilfred Owen: testo originale inglese
Bent double, like old beggars under sacks,
Knock-kneed, coughing like hags, we cursed through sludge,
Till on the haunting flares we turned our backs
And towards our distant rest began to trudge.
Men marched asleep. Many had lost their boots
But limped on, blood-shod. All went lame; all blind;
Drunk with fatigue; deaf even to the hoots
Of tired, outstripped Five-Nines that dropped behind.Gas! GAS! Quick, boys!—An ecstasy of fumbling,
Fitting the clumsy helmets just in time;
But someone still was yelling out and stumbling,
And flound’ring like a man in fire or lime…
Dim, through the misty panes and thick green light,
As under a green sea, I saw him drowning.
In all my dreams before my helpless sight,
He plunges at me, guttering, choking, drowning.If in some smothering dreams you too could pace
Behind the wagon that we flung him in,
And watch the white eyes writhing in his face,
His hanging face, like a devil’s sick of sin;
If you could hear, at every jolt, the blood
Come gargling from the froth-corrupted lungs,
Obscene as cancer, bitter as the cud
Of vile, incurable sores on innocent tongues,—
My friend, you would not tell with such high zest
To children ardent for some desperate glory,
The old Lie: Dulce et decorum est
Pro patria mori.
“Dulce et decorum est” di Wilfred Owen: analisi e commento
L’orrore della guerra viene descritto in questi versi in tutta la sua brutalità, senza metafore o abbellimenti. Wilfred Owen trascina il lettore nell’esperienza viva della sua vita da soldato, lo fa camminare sui suoi passi, vedere attraverso i suoi occhi. Non c’è traccia qui, nel lirismo straziante eppure crudo, scarnificato, del poeta inglese, della parola pura ungarettiana di Soldati. Owen non si affida a una similitudine o un’atmosfera d’autunno per mostrare la crudeltà della guerra e la fragilità umana: si limita a raccontare ciò che ha visto, ciò che ha sentito, l’orrore di una morte che prefigura, tragicamente, la propria stessa morte.
Nella prima strofa ci viene descritto una marcia ben lontana dai consueti toni trionfali: i soldati si trascinano stanchi, a fatica, verso il loro “luogo di riposo”, sempre che sia possibile un riposo in guerra. I soldati marciano già “addormentati”, nell’uso attento delle parole, Owen sembra suggerirci che questi soldati, in realtà, sono come degli zombie, dei morti viventi.
Il tono della lirica cambia in maniera drastica in seguito all’urlo: GAS! che, scritto in caratteri maiuscoli, sembra tagliare in due la poesia, dividerla in un “prima” e in un “dopo”. Dopo questa cesura si passa, infatti, dal “noi” - collettivo, inclusivo - all’“io” - singolare, incisivo, senza il conforto della moltitudine - e alla narrazione cruda, spietata, estremamente individuale della morte. Owen racconta la morte di un compagno soldato, ucciso da un attacco di gas: descrive con minuzia di particolari la sequenza tragica di quella morte che lo avrebbe perseguitato in tutti i suoi incubi. Questa è la guerra, sembra dire Wilfred Owen, terrore e muta confusione, sangue e delirio, agonia e impotenza. L’aspetto più straziante di questi versi non è la morte del soldato, ma l’inquietudine che cova nel cuore del sopravvissuto e che lo perseguiterà in futuro.
Il messaggio contro la guerra di Wilfred Owen
Non si sopravvive davvero alla guerra: questo sembra dirci Wilfred Owen in questi versi crudi, affilati, senza redenzione. L’aspetto più incisivo e, al contempo, sconvolgente di questa poesia, Dulce et decorum est, è che ci narra una morte terribile perché compiuta da un nemico invisibile. Il soldato della poesia di Owen viene ucciso da un attacco di gas, non ha modo di difendersi.
La morte per gas sembra una metafora della guerra, di ogni guerra, che non è altro che una condanna senza via di scampo. Ogni soldato, in fondo, combatte contro un nemico invisibile, deve fronteggiare l’insensata ingiustizia di un destino già scritto. La morale della poesia di Wilfred Owen è condensata nell’ultimo distico, dove il poeta inglese racchiude la parodia del motto latino Dulce et decorum est che si rivela, a quel punto, in tutta la sua vuotezza di significato.
Dinnanzi all’immagine tremenda della morte di quell’uomo, la formula oraziana non è altro che un messaggio astratto, vacuo, menzognero. Non c’è un ideale cui aggrapparsi, non c’è uno scopo, sembra dirci il giovane soldato Owen, solo il trauma inesprimibile di una morte straziante cui, neppure i sopravvissuti in realtà sopravvivono davvero.
È questa l’orribile verità della guerra, non c’è una morte onorevole per un soldato, solo una lenta e atroce agonia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Dulce et decorum est”: la poesia contro la guerra di Wilfred Owen
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